Infatti, in un passato neppure molto remoto disabilità e sport non coesistevano. A un disabile era impossibile partecipare ad un evento sportivo sia come spettatore che come atleta amatoriale o agonista.
Fare sport oggi non è più prerogativa dei fisicamente integri com’era nei principi di De Coubertin.
Grazie alle nuove tecniche messe a disposizione dalla scienza, alla scoperta e utilizzo di nuovi materiali, a strumenti di classificazione internazionali elaborati e pubblicati dall’OMS come la Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute, meglio conosciuta come ICF e, soprattutto, al decadimento di certi radicati ed insensati pregiudizi culturali che stanno man mano lasciando il posto ad un maggior spirito d’eguaglianza che evita di giudicare con sufficienza i disabili rispetto ai normodotati, indistintamente tutti possono e devono cimentarsi nelle varie discipline sportive, magari la più congeniali alla propria disabilità, intesa questa dall’OMS nell’ICF, “come termine ombrello per menomazione, limitazione dell’attività e restrizione della (alla) partecipazione, usata pertanto per indica gli aspetti negativi dell’interazione tra individuo con una condizione di salute e i fattori contestuali di quell’individuo, sia essi ambientali e personali. (Per una migliore comprensione della terminologia e del significato attribuitogli dall’ICF si invitano gli interessati ad una lettura della stessa).
Grazie alle Paraolimpiadi e al recentissimo caso di Oscar Pistorius, l’atleta sudafricano che corre grazie a particolari protesi in fibra di carbonio, il mondo dello sport delle persone disabili è arrivato ad imporre i suoi atleti e le loro “gesta” ai mass media. Certo, non può ancora vantare aree di ascolto da record, ma il fenomeno comincia ad essere rilevante e non passa più inosservato.
Lo scopo fondamentale del medico Ludwig Guttmann, che può considerarsi il precursore dello sport per disabili, sia esso amatoriale che agonistico, era quella di riuscire, tramite gli stimoli dello sport, a sviluppare in modo ottimale le capacità residue del disabile ed a recuperare un buon stato psicologico per raggiungere la massima autonomia possibile ed una dignitosa qualità di vita, coniugando, il recupero psicofisico e l’autonomia funzionale possibile da un lato e l’integrazione sociale dall’altro, fine, sicuramente da perseguire in modo efficace ancora oggi.
Ricadute positive quali l'incremento delle capacità, l'acquisizione di nuove competenze e l'integrazione in contesti di vita ricchi di relazioni significative rendono fondamentale il ruolo dell'attività sportiva e soprattutto del gioco di squadra nel processo formativo dei disabili.
Praticare sport rappresenta, infatti, un’occasione per impegnarsi nel superare gli ostacoli, per lottare nel raggiungere un obiettivo mettendo in conto sofferenze e sconfitte così come avviene per tutti.
Anche i disabili, al pari dei normodotati, godono dunque degli stessi benefici che derivano dalla pratica sportiva: sono in grado di padroneggiare meglio il proprio corpo, modificare, incrementandola, la propria autostima, accettare i propri limiti e, al contempo, testare le proprie potenzialità.
La persona con disabilità può dunque confrontarsi su più fronti: con se stessa, con il proprio handicap, con gli avversari e con i compagni di squadra, il proprio allenatore, gli amici, i tifosi, con le paure e le preoccupazioni della famiglia.
Per questo motivo sia che si pratichi attività sportiva nel senso di vero e proprio agonismo, sia che essa rappresenti un’attività di recupero o semplicemente un impegno ludico-motorio, la persona diversamente abile può sperimentare concretamente occasioni di affiliazione condividendo spazi e momenti di pratica sportiva con altri disabili oltre che con persone normodotate.
Infatti, solo condividendo esperienze con altre persone e quindi regolando la propria vita su quella collettiva l’essere umano si riconosce come persona e può godere di possibili occasioni di integrazione sociale.
Sperimentare la vita di gruppo costituisce, dunque, una notevole opportunità di sviluppo e, al contempo, permette di apprendere modelli di comportamento più appropriati al vivere sociale.